La guerra è il problema

La resistenza civile vince la guerra. Intervista ad Angela Dogliotti

Intervista di Maurizio Gelatti ad Angela Dogliotti sul libro di Erica Chenoweth, Come risolvere i conflitti. Senza armi e senza odio, con la resistenza civile, Sonda 2023. L’intervista è stata pubblicata su Torino Sette (che ringraziamo insieme all’autore per la ripubblicazione sul nostro sito) del 31 marzo 2023 col titolo “La resistenza civile vince la guerra” in versione ridotta. Qui la versione completa. Sul sito www.serenoregis.org una riflessione sul tema guerra e nonviolenza

1. Esiste un’alternativa pratica alla guerra e alle armi?

La ricerca di un’alternativa alla guerra risale agli albori del pacifismo moderno che ha tentato, attraverso le Conferenze internazionali dell’Aja tra fine Ottocento e inizio Novecento, di trovare “un altro fondamento all’intero sistema di rapporto tra i popoli”, come scriveva Bertha von Suttern già nel 1908. Alla fine della seconda guerra mondiale le Nazioni Unite nascono proprio per trovare alternative al flagello della guerra .( Oggi l’ONU è uno strumento bloccato nel suo funzionamento, ma non per questo va abbandonato, anzi necessita di radicali riforme)

Ma è con la frattura storica prodotta dalle bombe di Hiroshima e Nagasaki che questa ricerca è diventata imprescindibile. Il Manifesto Einstein-Russell del 1955 denuncia chiaramente il pericolo che la guerra possa porre fine all’umanità , se l’umanità non saprà porre fine alla guerra.

E’ a partire da questa convinzione che il movimento per la pace ha sviluppato proposte e avviato esperienze nella direzione di trovare alternative alla violenza nei conflitti, soprattutto sulla base delle lotte nonviolente gandhiane.

Se il Novecento è stato infatti il secolo dell’atomica, è stato anche il secolo della nonviolenza, che con Gandhi ha dato sistemazione teorica e fondamento pratico ad un nuovo paradigma di conflitto, la lotta satyagraha, che affronta la violenza senza replicarla, con gli strumenti della disobbedienza civile, del boicottaggio, dello sciopero, dell’interposizione nonviolenta, della protesta di massa e di molte altre forme omissive e commissive di lotta senza armi..

I movimenti nonviolenti e per la pace hanno da tempo imboccato la strada della ricerca e della sperimentazione di un’alternativa strutturale alla difesa armata, proponendo una difesa civile disarmata e nonviolenta, da preparare a livello culturale e predisporre nella società. Un’altra difesa è possibile è una campagna lanciata anni fa a questo proposito, il cui progetto di legge di iniziativa popolare sarà ripresentato per essere discusso e implementato in Parlamento.

Una ricerca come quella di Chenoweth ci mostra che è un percorso possibile.

Se la resistenza civile si è fatta strada in tanti casi di conflitto, di occupazione e di oppressione, spesso in modo spontaneo, privo di guida e preparazione, quanto potrebbe essere più efficace se si riuscisse a ragionare a livello politico di alternative alla guerra, predisponendo in tempo di pace i mezzi e le condizioni per realizzarle? Quanto maggiore potrebbe essere il successo se si diffondesse una cultura del conflitto nonviolento per contrastare violenze e ingiustizie?.

2. La nonviolenza può sostituirsi sempre alla resistenza armata?

Interpreto la domanda in questo modo: ” a volte è necessaria la resistenza armata?” Se interpreto correttamente, credo che la domanda sottintenda la convinzione di una maggiore efficacia della violenza rispetto alla nonviolenza. Ma è davvero così? Il libro della ricercatrice statunitense mette in discussione proprio questa convinzione, mostrando, attraverso molti casi concreti, la dinamica e gli effetti di violenza e nonviolenza in situazioni di conflitto.. Certo la difesa anche armata è legittima, altra cosa è dare per scontato che sia sempre il mezzo più efficace e risolutivo per affrontare una situazione di conflitto o di oppressione …

Non si può negare, in assoluto, che ci siano particolari situazioni in cui un’ azione armata possa avere più successo di una resistenza nonviolenta, il contesto è sempre molto importante.

Il punto è che rispetto all’efficacia della nonviolenza è molto diffuso il pregiudizio che possa funzionare solo nei contesti più democratici. Scrive in proposito la compianta storica torinese Anna Bravo nel suo messaggio per la consegna del Premio Nazionale Nonviolenza attribuitole nel 2018 dall’Associazione Cultura della Pace di Sansepolcro:

C’è chi pensa che Gandhi potesse agire perché il governo britannico glielo consentiva; certo la Gran Bretagna non è il Terzo Reich, ma se approda a una certa tolleranza è perchè il movimento gandhiano non le lascia scelta tra il massacro e la trattativa. Dunque non è una pratica per anime belle, richiede pazienza, sagacia, e coraggio davanti alla ferocia altrui- esiste una combattività nonviolenta molto temuta da chi è al potere.

Senza dimenticare casi straordinari in cui la resistenza civile ha avuto successo anche in situazioni estreme, come ad esempio il salvataggio della quasi totalità degli ebrei danesi sotto l’occupazione nazista.

Inoltre, in alcuni casi resistenza armata e resistenza civile si integrano, come ad esempio accadde anche nel nostro movimento di resistenza al nazifascismo dove, insieme alla resistenza partigiana armata è stata molto importante la resistenza civile delle donne che hanno aiutato i soldati sbadati dopo l’8 settembre ’43, sottraendoli alla cattura da parte dei tedeschi, o quella degli IMI (internati militati italiani, circa 650.000), che si sono rifiutati di arruolarsi nell’esercito della Repubblica sociale italiana, scegliendo di restare prigionieri in Germania ( e sottraendo così importanti contingenti militari al nazifascismo), o gli scioperi operai del ’43…

Per tanto tempo questa dimensione della resistenza non è stata narrata come tale, semplicemente perché non aveva un nome. Il concetto di resistenza civile contribuisce a riconoscere e a dare valore anche a questi importanti aspetti della resistenza, messi spontaneamente in atto contro l’oppressione nazifascista.

3. Quali i dati della resistenza civile rispetto a quella armata?

Mi limito qui a riportare solo alcuni dati complessivi delle ricerche di Erica Chenoweth e Maria Stephan .Le autrici hanno individuato, tra il 1900 e il 2019, 325 campagne nonviolente di massa e 303 campagne classificate come violente. La maggior parte di queste lotte si sono concentrate dopo il 1940 ( ben 320 nonviolente e 261 violente tra il 1930 e il 2019).

I successi della resistenza civile rispetto a quella armata sono stati del 59% contro il 27% nelle lotte interne antiregime, e il tasso di mortalità è stato di 1 a 22; in quelle contro l’occupazione di un paese il successo della resistenza civile è stato del 41%, contro il 10% della resistenza armata.

4. I principi sono applicabili anche ai conflitti attualmente in corso? In che modo?

Certamente lo sono, a patto che non sia la guerra a prendere il sopravvento, talvolta seguendo dinamiche persino indipendenti dalla stessa volontà degli attori coinvolti (quando succedono, ad esempio, incidenti imprevisti…) Se si sceglie la strada della guerra, dell’occhio per occhio, è facile che si inneschi un’escalation che rende poi difficile percorrere altre strade .

Ma persino in una situazione come quella della guerra di aggressione russa all’Ucraina, una ricerca indipendente dello studioso catalano Felip Daza Sierra, Ukrainian Civil Resistance in the Face of War, documenta una significativa presenza di forme di resistenza civile, che hanno contribuito a fermare l’invasione russa nel nord del paese, ostacolando l’occupazione militare russa e aumentando la resilienza della società ucraina di fronte all’aggressione. (si veda la traduzione italiana del lavoro, a cura del MIR – Movimento Internazionale della Riconciliazione di Padova, La resistenza civile nonviolenta ucraina di fronte alla guerra. Analisi delle tecniche, degli impatti e delle sfide dell’azione nonviolenta in ucraina tra febbraio e giugno 2022.

Come scrive Erica Chenoweth nel suo libro

la resistenza civile ha successo o fallisce principalmente in base alle sue capacità di coinvolgere grandi masse di persone di ogni classe sociale e di convincere i sostenitori del regime a cambiare campo di gioco. Nessuna persona che si trovi ad affrontare carri armati e fucili in atti di coraggio individuali può portare da sola al cambiamento. E la resistenza nonviolenta non funziona ogni volta, anche quando la partecipazione al movimento è vasta.

Ma in molti casi, non vi sono alternative migliori. Non fare nulla può non essere un’opzione per persone che vivono in condizioni intollerabili. E fare ricorso alla violenza potrebbe avere risultati ancora più disastrosi di una resistenza nonviolenta.

Eppure la convinzione che la violenza sia un modo inevitabile e necessario per giungere al cambiamento è notevolmente persistente. (pag.254)

5. Il libro risponde a 100 domande. Quali le più cogenti?

Ci sono molti aspetti importanti affrontati nelle domande, che sono frutto dei molti incontri avuti dall’autrice dopo l’uscita della ricerca del 2011, condotta con Maria Stephan, Why Civil Resistance Works. The Strategic Logic of Nonviolent Conflict, Columbia University Press.

A mio parere gli aspetti più importanti sono quelli relativi all’analisi delle dinamiche dell’azione nonviolenta rispetto all’uso della violenza; al rapporto tra resistenza civile e violenza marginale; a cosa aiuta e cosa ostacola la diffusione della resistenza civile; al ruolo delle terze parti interne ed esterne nel sostenere queste forme di lotta (qui ci sarebbe da aprire anche tutto un capitolo su quale potrebbe essere il ruolo di una istituzione internazionale come le Nazioni Unite se avesse la struttura e gli strumenti per agire efficacemente…)

C’è davvero l’imbarazzo della scelta, anche perché uno dei pregi maggiori del libro è quello di offrire tanti esempi concreti, tanti contesti diversi su cui riflettere per comprendere come efficaci alternative alla violenza e alla guerra possano funzionare.

Perché davvero è arrivato il momento di convincersi che la guerra è il problema, non la soluzione, e che è necessario e urgente percorrere altre vie. La resistenza civile è una di queste.