Lentamente

Data pubblicazione: Feb 25, 2016 4:3:8 PM

Sezione a cura della Dott.ssa Tamara Leonardi

IDEE PER UNA PEDAGOGIA DELLA LENTEZZA

articolo della Dott.ssa Lara Pasquetti

Nel libro “La Pedagogia della Lumaca” (EMI 2008 ) Gianfranco Zavalloni mette in luce come la visione consumistica e iper velocizzata della vita abbia catturato anche la scuola. Quanto spesso sentiamo parlare di educazione efficiente, di scuola azienda, direttamente collegata al mondo del lavoro; come se l’apprendimento fosse in automatico connesso alla produzione di risultati che conseguentemente generano l’immissione nel mondo del lavoro. Ma l’essere umano, per formarsi, per capire e agire con consapevolezza ha bisogno di trovare un valore in tutto quello che fa, di sentirsi accolto, immerso in un ambiente che lo riconosca.Ed è importante che all’interno del tempo scuola ci sia la possibilità di pensare anche“cose inutili” perché spesso da quella inutilità, come può essere il gioco o il sogno, nasce il desiderio di apprendere e senza desideri l’uomo non apprende nulla. La psicologia ci ha insegnato che per il bambino il ripensare con il suo ritmo a quanto è avvenuto, a quello che ha visto, alle sensazioni provate è un’attività indispensabile per aprire le porte al fantasticare all’immaginazione di un mondo poetico. E’ l’immaginazione stessa del futuro che nasce dal ripensare così come la scoperta della poesia, l’intuizione del cosmo e del nostro essere nel mondo.

Non possiamo far vivere a bambini che diventeranno ragazzi e adolescenti la minaccia incombente del tempo fatto di tragitti rigidi, di stazioni già programmate, di tappe forzate. E’ piuttosto necessario fargli gustare il piacere del fare, della scoperta, dell’imparare e del capire “come si fa ad imparare”e soprattutto di come sia veramente piacevole farlo insieme agli altri, in allegria, ridendo. Nella pedagogia della Lumaca Zavalloni ci propone queste parole:

«In una società basata sul successo, sul guadagno e sul vincere, abbiamo mai riflettuto sull’importanza e sul valore pedagogico del “perdere”? Perdere tempo, perdere una partita, perdere un treno, perdere un oggetto, perdere un appuntamento, perdere qualcuno, perdere e basta… perdere!” Bisogna perdere tempo per “imparare a fischiare a scuola” per imparare a gustare la vita a scuola, per prepararsi a gustare la vita.»

Ecco allora che egli stesso ripensando alla sua esperienza di maestro di scuola e dirigente scolastico si chiede: “ Dobbiamo davvero correre a scuola?

Siamo sicuri che questa sia la strategia migliore?

Dobbiamo per forza assecondare una società che c’impone la fretta a tutti i costi?”.

La tesi di fondo e le strategie didattiche di rallentamento descritte nella “Pedagogia della Lumaca” ripropongono i temi della letteratura sulla lentezza che afferma che in una società basata sul fare, sull’efficientismo, sul mercato globale e sulla velocità, la maniera per essere innovatori è oziare e rallentare, far da sé e produrre localmente, perder tempo. Perdere tempo è un vero peccato capitale in un sistema sociale incentrato sul profitto ad ogni costo, è legato invece a una società basata sui ritmi ciclici, a uno stile unito alla natura, al lavoro che l’uomo svolge per produrre il suo sostentamento. L’idea del “perdere tempo”, dell’attendere pazientemente che un ciclo si compia, è caratteristica del lavoro contadino, della terra e della campagna. Nel lavoro dei campi non esistono pause che non siano feconde, il tempo perso in realtà è un tempo biologicamente necessario, che si riempie spesso di attività di preparazione a eventi ciclici come sono i raccolti o le semine. Mentre la velocità è legata a tempi lineari, a una produzione industriale centrata sull’usa e getta, a un modello di società che consuma e che non si preoccupa di far rientrare entro cicli naturali beni, energie, materie prime e persone. È un “tempo-freccia”, privo d’attese.

Tutto questo incide indelebilmente sull’educazione, sulla formazione delle persone e sull’organizzazione della scuola.

Ecco allora che le STRATEGIE DIDATTICHE DI RALLENTAMENTO diventano «necessarie per non perdere di vista il valore dell’alunno come persona unica e irripetibile, fatta di emozioni e di sentimenti»

L’opera concreta è quella di ribaltare provocatoriamente alcune pratiche educative e didattiche che ormai per inerzia sono entrate nelle consuetudini delle scuole. Di conseguenza diviene indispensabile proporne di nuove, che forse per alcuni sembreranno vecchie o già poste negli archivi del passato.

♣Perdere tempo a parlare.

♣Passeggiare, camminare, muoversi a piedi.

♣Guardare le nuvole nel cielo e guardare fuori dalla finestra.

♣Scrivere lettere e cartoline vere, usandole come mezzo artistico.

IL MANIFESTO DEI DIRITTI NATURALI DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE

L’idea per un Manifesto dei Diritti Naturali riportato in appendice alla Pedagogia della Lumaca prende vita nel momento in cui alla fine degli anni ’90 venne chiesto a Zavalloni un intervento ad una conferenza dove si celebrava la Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia che in tutto il mondo ricorre il 20 Novembre. In una intervista radiofonica del 2011 rilasciata a Radio Emilia Romagna Zavalloni, partendo dai punti cardine della dichiarazione, che dovrebbero essere assunti da ogni comunità fra i quali diritto alla vita, alla sopravvivenza, il principio di non discriminazione, il diritto all’ascolto delle opinioni del bambino, sintetizza in dieci punti quelli che, dopo tanti anni di esperienza come insegnate e dirigente scolastico, individua come mancanze per i bambini che vivono nelle nostre società del nord del mondo.

Tratto dal sito Scuola Creativa http://www.scuolacreativa.it/home.htmlo, dedicato all’opera di Gianfranco Zavalloni ecco riportati i dieci articoli del Manifesto e il commento ai singoli articoli che ne fa l’autore stesso.

1. Il diritto all’ozio

2. Il diritto a sporcarsi

3. Il diritto agli odori

4. Il diritto a prendere la parola

5. Il diritto a saper usare le mani

6. Il diritto ad un buon inizi

7. Il diritto alla strada

8. Il diritto al selvaggio

9. Il diritto ad ascoltare il silenzio

10. Il diritto a percepire le sfumature

« Il Manifesto pur essendo rivolto al mondo dei "piccoli", interroga soprattutto noi "grandi". Siamo noi adulti ad essere - infatti - interpellati da queste riflessioni. Siamo noi che dobbiamo prendere coscienza di ciò che rischiamo di non offrire all'infanzia, e quindi, indirettamente, di derubare ai bambini e alle bambini. È il furto di opportunità, di esperienze, di competenze di occasioni che "o si vivono nei primi anni di vita" oppure rischiamo di "perderle per sempre»

1. Il diritto all’ozio

Siamo nell'epoca in cui tutto è programmato e informatizzato.

Ai bambini e alle bambine offriamo praticamente una settimana programmata nei minimi dettagli.

Non c'è spazio per l'ozio, l'imprevisto, l'auto-organizzazione infantile.

Non ci accorgiamo di pensare al tempo dei bambini e delle bambine esclusivamente come un tempo di preparazione a "quando saranno adulti, con un loro lavoro"?

E' indispensabile, per noi grandi, prendere coscienza che il tempo del gioco, il tempo dell'ozio, il tempo del "non far niente insieme agli amici" è importante.

E tutto questo anche senza la presenza di noi adulti. I bambini e le bambine hanno bisogno di scoprire da soli le regole dello stare insieme, del giocare nello stesso luogo. Solo così matureranno e faranno proprie le "regole fondamentali di convivenza". Saranno regole, a quel punto, acquisite naturalmente nella coscienza personale e non imposte dagli altri, dall'adulto, dall'alto.

2. Il diritto a sporcarsi

L'epoca attuale è quella del look, delle cartelle firmate, delle riviste di moda e dei negozi di abbigliamento per l'infanzia, dei bambini col cellulare. Ma il nostro è anche il tempo del "non ti sporcare", "stai attento", "ma cosa mi hai combinato?!".

Credo che i bimbi e le bimbe abbiano il sacrosanto diritto di giocare con i materiali naturali: la sabbia, la terra, l'erba, le foglie, i sassi, i rametti, la neve, l'acqua,.... un bimbo o una bimba sono capaci di giocare per ore con le foglie d'erba, un po' di sabbia, alcuni bastoncini o ciottoli. Sono sufficienti uno spazio all'aria aperta, qualche semplice oggetto che l'ambiente naturale ci regala, un po' d'acqua e... un clima sereno.

3. Il diritto agli odori

Imparare fin da piccoli il gusto degli odori, percepire i profumi offerti dalla natura, sono esperienze che ci accompagneranno lungo la nostra esistenza.

Pensiamo alla bottega del fornaio, all'officina del meccanico delle biciclette, al calzolaio, al falegname, alla farmacia. Questi luoghi emanavano odori speciali, di cui si impregnavano i muri, le porte, le finestre. Oggi entrare in una scuola in un ospedale, in un supermercato o in una chiesa spesso significa respirare ed annusare lo stesso odore di detergente. Non ci sono più differenze. Eppure chi di noi non ama sentire il profumo di terra dopo un acquazzone e non prova un certo senso di benessere entrando in un bosco ed annusando il tipico odore di humus misto ad erbe selvatiche?

4. Il diritto a prendere la parola

Dobbiamo constatare sempre di più la triste realtà di un sistema di comunicazione e di informazione "unidirezionale".

Da una parte la TV, i giornali, i mass-media, dall'altra gli ascoltatori, i telespettatori che subiscono passivamente. Siamo al monologo. Cosa diversa è il raccontare fiabe, narrare leggende, vicende e storie, fare uno spettacolo di burattini. In questi casi anche lo spettatore-ascoltatore può prendere la parola, interloquire, dialogare.

5. Il diritto a saper usare le mani

Nel mondo infantile i giocattoli industriali sono talmente perfetti e finiti che non necessitano dell'apporto creativo della manualità del bambino o della bambina.

E nel contempo mancano le occasioni per sviluppare le abilità manuali ed in particolare la manualità fine.

Quello dell'uso delle mani è uno dei diritti più disattesi nella nostra società post-industriale e rischiamo di avere bambini e bambine capaci di stare ore davanti ad un computer, ma incapaci di usare un martello o un paio di pinze.

6. Il diritto ad un buon inizio .

L'acqua non è più pura, l'aria è intrisa di pulviscoli di ogni genere. La terra è fecondata dalla chimica di sintesi. Si dice sia il frutto non desiderato dello sviluppo e del progresso.

Da qui l'importanza dell'attenzione a quello che fin da piccoli si mangia, "si beve" e si respira.

7. Il diritto alla strada

La strada è per eccellenza il luogo per mettere in contatto.

La strada e la piazza dovrebbero permettere l'incontro. Oggi sempre più le piazze sono dei parcheggi e le strade sono invivibili

Piazze e strade sono divenute paradossalmente luoghi di allontanamento.

. 8. Il diritto al selvaggio

Anche nel cosiddetto tempo libero tutto è pre -organizzato.

Ma dov'è la possibilità di costruire un luogo di rifugio-gioco, una capanna di legno, dove sono i canneti e i boschetti in cui nascondersi, dove sono gli alberi su cui arrampicarsi?

Il mondo è fatto di luoghi modificati dall'uomo, ma è importante che questi si compenetrino con luoghi selvaggi, lasciati allo stato naturale nei quali il bambino possa giocare ed esplorare liberamente.

9. Il diritto ad ascoltare il silenzio

I nostri occhi possono socchiudersi e così riposare, ma le orecchie sono sempre aperte. Così sono sottoposte continuamente alle sollecitazioni esterne.

Mi sembra ci sia l'abitudine al rumore, alla situazione rumorosa, a tal punto da temere il silenzio. Perdiamo occasioni uniche: il soffio del vento, il canto degli uccelli, il gorgogliare dell'acqua. Questo significa diritto al silenzio, ad educarci all'ascolto silenzioso.

10. Il diritto a percepire le sfumature

La città ci abitua alla luce, anche quando in natura luce non c'è.

Nelle nostre case l'elettricità ha permesso e permette di vivere di notte come fosse giorno. E così spesso non si percepisce il passaggio dall'una all'altra situazione.

Quel che più è grave è che poche persone, pochi bambini o bambine, riescono a vedere il sorgere del sole, cioè l'aurora e l'alba oppure il crepuscolo o il tramonto. Non si percepiscono più le sfumature. Il pericolo che qualcuno paventa è che vedendo solo nero o bianco si rischi davvero l'integralismo.