Nessuna rottura

Data pubblicazione: Feb 04, 2016 4:43:5 PM

Sezione a cura della Dott.ssa Tamara Leonardi

Resilienza e strategie di prevenzione

Il termine “resilienza” indica la proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi.

Nella letteratura psicologica e sociologica, questo concetto è utilizzato per indicare la capacità di un individuo di superare eventi negativi e traumatici per un adattamento alle richieste dell’ambiente, resistendo con successo a situazioni avverse e imparando così a sviluppare competenze a partire dalle difficoltà e rafforzando la fiducia in sé e nel proprio agire.

Caratteristiche del processo di resilienza

Dagli studi longitudinali e dalla valutazione dei progetti educativi, destinati a soggetti a rischio per problemi psicologici e comportamentali in età evolutiva, sono emersi alcuni punti molto interessanti. In sintesi, i fattori che promuovono la resilienza in età evolutiva possono essere riassunti come segue:

a. l’esistenza di un legame significativo con un adulto, non necessariamente un genitore o un congiunto, in grado di sostenere e accompagnare il giovane nei momenti di difficoltà;

b. l’appartenenza a un gruppo che assicuri un livello adeguato di sostegno sociale, anche attraverso il riconoscimento delle capacità di ruolo;

c. la capacità di cogliere un significato e una direzione nelle proprie esperienze, sottraendole a un vissuto di caos e di destino inesorabile;

d. la percezione di un senso profondo del valore di sé come persona.

Le competenze educative dei genitori (o in generale degli adulti nel ruolo di caregiver) sono importanti nel favorire i processi di resilienza, in particolare i genitori che affermano la loro presenza in termini di autorità, controllo e sostegno, incoraggiando il rispetto delle regole, proteggono dal rischio di comportamenti antisociali in ambienti a rischio per l’elevato tasso di criminalità. Il ruolo genitoriale può essere esercitato con successo da fratelli/sorelle, ma anche da insegnanti, sacerdoti e assistenti sociali, nella misura in cui possono garantire un processo coerente e sufficientemente continuo nel tempo.

La povertà, misurata tramite gli indici di status socio-economico, si conferma come un potente elemento di freno al pieno dispiegamento delle potenzialità individuali, anche nei Paesi più avanzati in termini di sviluppo economico. Questo significa che un efficace adattamento psicosociale si fonda su un livello di base di soddisfacimento dei bisogni che, se carente, richiede di essere garantito da un adeguato sistema assistenziale.

L’appartenenza a un gruppo comprende anche i contesti occupazionali: lavorando, infatti, un giovane ha l’opportunità di incontrare altre persone, quindi può modellare i comportamenti e gli schemi di valore, valorizzando le proprie abilità.

Il riconoscimento delle funzioni di ruolo nell’ambito familiare, come avviene per esempio quando un ragazzo accudisce fratelli più piccoli, contribuisce al rafforzamento dell’identità personale e dei legami di gruppo.

Per quanto le condizioni oggettive esterne comportino una minaccia all’integrità del sé, la capacità di pensarsi in termini positivi incoraggia un atteggiamento costruttivo e rafforza l’autostima. Probabilmente è a partire dal senso di valore personale che la persona è in grado di attivare reti relazionali positive e soddisfacenti, sperimentando una sufficiente continuità nella propria esistenza e guardando in modo ottimistico al futuro.

Questi fattori sono del tutto allineati con i modelli elaborati nell’ambito delle teorie dell’attaccamento e di resistenza allo stress.

L’educazione alla resilienza comporta il potenziamento di competenze emozionali e relazionali e costituisce pertanto uno strumento primario di prevenzione del disagio psicopatologico e sociale, la cui utilità si estende dagli interventi educativi ai trattamenti Psicoterapeutici.

Il concetto di resilienza può permettere di spiegare e comprendere quali variabili, interne e esterne all’individuo, permettono alle persone di padroneggiare con successo le situazioni di crisi.

La resilienza indica un aspetto fondamentale per tutti gli esseri umani: la capacità di fronteggiare situazioni di crisi attivando energie e risorse al fine di proseguire lungo una traiettoria di crescita. Un punto particolarmente significativo è che la resilienza non viene intesa come una qualità statica, bensì come il risultato di un’interazione dinamica fra l’individuo e l’ambiente.

Come le altre abilità, la resilienza può essere acquisita attraverso un processo di apprendimento, che deve essere sostenuto e incoraggiato dalle istituzioni formative. L’educazione alla resilienza comporta il potenziamento di competenze e costituisce pertanto uno strumento primario di prevenzione del disagio psicopatologico e sociale.

Studi e Ricerche

Gli studi sui processi di resilienza hanno preso avvio dai risultati di alcune ricerche, condotte su bambini e adolescenti provenienti da contesti familiari svantaggiati per la presenza di fattori di rischio noti, quali disagio socio-economico, disturbi psichiatrici nei genitori, disabilità fisiche. Queste ricerche, pur differendo nella popolazione presa in esame, approdarono a risultati assai simili: contrariamente a quanto atteso alla luce dei modelli dello sviluppo umano, la maggior parte dei giovani non andava incontro inevitabilmente ad esiti problematici, ma anzi presentava un sufficiente equilibrio affettivo che corrispondeva a un livello di funzionamento sociale adeguato.

In particolare, riscosse molto interesse uno studio longitudinale condotto su una coorte iniziale di circa 600 bambini dell’isola di Kauai, nell’arcipelago delle Hawai (USA). Lo studio, iniziato nel 1955 e durato complessivamente più di 30 anni (Werner e Smith, 1992), ha seguito l’evoluzione nel tempo delle capacità di adattamento affettivo e relazionale in bambini che provenivano da famiglie svantaggiate. Sulla base della presenza di almeno quattro fattori di rischio (come disoccupazione dei genitori, basso livello di reddito familiare, stress perinatale, lutti, conflitti familiari cronici, ecc…), fu individuato un gruppo di bambini definito a alto rischio. I risultati dimostrarono che, all’età di 18 anni, un terzo di questi bambini considerati a alto rischio, presentava un livello soddisfacente di funzionalità affettiva e sociale. Essi erano riusciti a completare con successo il percorso di sviluppo sia in senso affettivo, per esempio costruendo significativi legami con partner e/o figli, sia in senso lavorativo, conseguendo titoli accademici e realizzando attività professionalmente soddisfacenti.

Le caratteristiche di questi bambini furono confrontate con quelle degli altri bambini che presentavano invece difficoltà di adattamento, con l’obiettivo di individuare gli elementi responsabili dei percorsi di resilienza. Anche i bambini che presentavano disturbi di adattamento mostrarono di migliorare in modo sensibile nel corso del tempo.

Risultati analoghi sono stati riferiti per altri studi, che hanno confermato che la presenza di fattori di rischio familiari e sociali non si traduce automaticamente in un percorso problematico nell’infanzia e nell’adolescenza (Masten, 2001).

Relazione fra resilienza e altre variabili psicologiche

Alcune variabili psicologiche risultano associate al processo di resilienza. In generale, è possibile affermare che la resilienza, pur comprendendo tutte queste variabili, esprime un concetto più ampio, che si arricchisce di una specifica connotazione ideale: resilienza indica nel contempo un processo e anche una meta, esprime un valore positivo, in quanto denota la capacità non soltanto di parare i colpi, ma anche di proseguire con successo nei compiti di sviluppo.

Di seguito vengono elencate tali variabili:

Adattamento (coping) → Abilità di far fronte alle richieste dell’ambiente attivando risposte adattive.

Autoefficacia (Self-efficacy)→Convinzione di poter modificare la propria esperienza,

attraverso il controllo efficace sull’ambiente circostante.

Locus of control → Processo di attribuzione secondo cui la spiegazione di eventi positivi o negativi viene ricondotta a variabili relative al sé, su cui la persona può esercitare un controllo attivo (LOC interno), oppure a variabili relative ad altri, alle circostanze o al fato, comunque non soggette al controllo personale (LOC esterno).

Resistenza allo stress → Capacità di far fronte a pressioni ambientali eccessive.

Dai fattori di rischio ai fattori di protezione

Un settore di studio, che ha attratto l’interesse degli psicologi negli scorsi decenni, riguarda i cosiddetti comportamenti-problema (risk behaviors), che portano gli adolescenti a agire in direzione contraria ai percorsi ottimali della crescita psicofisica. Tra questi, si annoverano l’abuso di sostanze (alcool e droghe), la propensione più o meno volontaria a incidenti (guida pericolosa, sport estremi), la manipolazione violenta del corpo (piercing e tatuaggi estremi), l’aggressività auto o etero-diretta (furto, vandalismo, bullismo, condotte criminali), l’insuccesso e l’abbandono scolastico, il ricorso a pratiche sessuali non protette (che possono comportare il rischio di malattie infettive a trasmissione sessuale e di gravidanze non desiderate). Questi comportamenti, oltre a mettere a repentaglio la salute, portano l’individuo in rotta di collisione con la comunità e le sue istituzioni e presentano costi molto elevati, sia in termini di sofferenza umana che di uso dei servizi socio-sanitari. In una prima fase, i ricercatori interessati a comprendere questi fenomeni, ispirandosi ai modelli epidemiologici tradizionali, hanno cercato di individuare i fattori di rischio, vale a dire le variabili statisticamente associate all’aumento di probabilità di eventi avversi.

Recentemente, gli studi di prevenzione hanno registrato un importante cambiamento di direzione: più che focalizzarsi sui fattori di rischio, l’attenzione congiunta dei ricercatori e dei responsabili dei progetti di salute si è rivolta sui fattori di protezione, cioè sulle variabili in grado di sostenere il percorso di sviluppo, mitigando l’impatto di eventi e situazioni avverse.

Questa significativa inversione di tendenza è il risultato di ricerche che hanno permesso di comprendere alcuni aspetti molto importanti dei processi sani e patologici di sviluppo.

Innanzitutto, i fattori di rischio non si presentano pressoché mai in forma isolata, ma risultano fortemente correlati. La letteratura scientifica usa il termine di “effetto vortice” (ripple effect, Waller, 2001) per indicare che gli eventi negativi sono spesso interconnessi: per esempio, la povertà di risorse economiche è aggravata dalla disoccupazione, gli adulti che perdono il lavoro e fanno uso di sostanze psicotrope non sono in grado di esercitare in modo efficace il loro ruolo genitoriale e ricorrono a comportamenti e pratiche abusive nei confronti dei minori.

In secondo luogo, la presenza di un fattore di rischio può essere mitigato da un fattore di protezione, come avviene quando validi sostituti del ruolo genitoriale compensano gli effetti negativi di un genitore affetto da disturbi mentali (effetti di compensazione; Masten, 2001).

In modo analogo, ciò che costituisce un elemento di protezione, può allo stesso tempo rappresentare un fattore di rischio. Ad esempio, un adolescente può trovare in un gruppo di pari un sostituto affettivo importante rispetto a una famiglia problematica e affettivamente poco disponibile. Tuttavia, se in questo gruppo sono presenti comportamenti a rischio, come per esempio l’abuso di sostanze, lo stesso fattore che agisce in senso protettivo può esporre l’adolescente a situazioni potenzialmente negative e rischiose.

Esiste inoltre un importante effetto legato al tempo: un comportamento problematico in un dato momento non implica inevitabilmente una traiettoria di disadattamento emozionale e sociale. Per esempio, gli studi sull’abuso di sostanze indicano che solo una parte degli adolescenti che iniziano comportamenti abusivi li mantengono in età adulta.

Infine, un contributo importante nella ricerca dei fattori di protezione sullo sviluppo psicosociale, proviene proprio dalle indagini sui processi di resilienza. La scoperta che i bambini e gli adolescenti giovani si dimostrano capaci di percorrere un cammino positivo, anche a fronte di situazioni ad alto rischio, ha orientato i ricercatori verso lo studio delle condizioni interne e esterne all’individuo, che permettono di superare esperienze particolarmente difficili.

La promozione della resilienza negli adolescenti

Le ricerche sulla prevenzione delle condotte problematiche e sulla promozione della salute fisica e psicologica dei bambini e degli adolescenti negli ultimi anni hanno prodotto una notevole mole di dati empirici e un buon numero di modelli teorici che ispirano le politiche di organizzazione dei servizi destinati ai giovani.

Per quanto concerne la promozione della resilienza, gli interventi incentrati sul training delle competenze genitoriali si sono dimostrati efficaci nel prevenire i disturbi della condotta nei figli adolescenti, attraverso il potenziamento delle capacità comunicative, un più efficace controllo del comportamento dei figli, una migliore qualità del rapporto in termini di attaccamento, che risulta utile per contrastare l’influenza negativa del gruppo dei pari.

Un altro settore di indagine ha puntato ad individuare gli elementi di base dei processi di resilienza confrontando le caratteristiche di soggetti che presentavano un identico profilo di rischio (come la residenza in quartieri degradati o l’appartenenza a famiglie problematiche) ma un diverso adattamento psicosociale. Per esempio, Wyman et al.(1999) hanno esaminato un totale di 159 bambini giudicati a rischio di disturbi di adattamento per la presenza di quattro o più fattori problematici (tra cui la povertà di risorse familiari, un lutto significativo, la presenza di genitori con disturbi da abuso di sostanze, ecc…) che provenivano dal medesimo distretto scolastico. I risultati hanno evidenziato che bambini giudicati resilienti rispetto agli altri bambini, provenivano da famiglie i cui genitori mostravano migliori competenze educative, una visione positiva di sé, una minore incidenza di disturbi mentali e un migliore sostegno sociale da parte di amici e congiunti. L’aspetto forse più interessante di questo studio è che i genitori dei bambini resilienti non riferivano sempre esperienze positive rispetto alle famiglie di origine: molti di essi infatti provenivano da ambienti difficili e presentavano storie drammatiche di abuso e trascuratezza. Tuttavia, questi genitori erano stati in grado di compensare vicende personali negative e di sviluppare adeguate competenze genitoriali nei confronti dei loro figli.