Sul sito www.retepacedisarmo.org un commento sulla positiva situazione attuale in Palestina. Rete Pace e Disarmo, Premio Nazionale "Nonviolenza" Ed. 2020 commenta il cessate il fuoco
Finalmente dopo due anni di bombardamenti, distruzioni e dolore senza fine, il Governo Israeliano e Hamas (a seguito della pressione degli Stati Uniti e della mediazione di Qatar, Egitto, Turchia) hanno firmato il “cessate il fuoco” a Gaza. È un passo che accogliamo con sincera speranza e sollievo, perché fermare le armi è sempre, di per sé, una buona notizia. Ma proprio per questo, non possiamo permetterci ingenuamente di trasformare prima del tempo una fragile tregua in un trionfo: non siamo ancora di fronte ad una vera Pace, e non ci arriveremo finché non saranno garantiti i diritti fondamentali e la sovranità del popolo palestinese.
Il “cessate il fuoco” (con la liberazione di ostaggi e prigionieri) concretizza un accordo fondamentale sul piano umanitario, ma non risolvono nessuna delle cause che hanno scatenato tanta violenza, distruzione e morte. Ma non può essere considerato un “piano di Pace”. Le bombe si devono fermare, ma insieme devono aprirsi i corridoi umanitari, garantire l’accesso agli aiuti medici, alimentari, idrici, farmaceutici, con la ripresa di tutti i servizi essenziali. Gaza è ormai rasa al suolo: ospedali distrutti, strade sventrate, infrastrutture azzerate, intere comunità in frantumi. La ricostruzione non può riguardare soltanto i muri e gli edifici ma deve mettere al centro sopratutto la dignità, la partecipazione, lo spazio politico, il rilancio del tessuto sociale ed economico della comunità palestinese.
E non possiamo dimenticare chi ha deciso e fatto continuare per mesi questi conflitto sanguinoso: non può esserci pace senza giustizia, chi ha responsabilità per i crimini di guerra deve essere giudicato; non può esserci pace e sicurezza comune senza il pieno riconoscimento del diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato, libero ed indipendente; non può esserci pace se Israele non si ritirerà dai territori occupati illegalmente dal 1967; non potrà esserci pace se non si risolverà la questione dei profughi palestinesi. E non ci sarà Pace se la comunità internazionale, gli stati membri delle Nazioni Unite non si impegneranno concretamente per rispettare e far rispettare il diritto internazionale senza più usare doppi standard, girarsi dall’altra parte o imporre la legge del più forte.
Oggi ci uniamo alle manifestazioni di gioia e di speranza per questo accordo ma diciamo con forza: non basta fermare le armi, occorre costruire Pace che può derivare solo da un percorso di giustizia che coinvolga direttamente le due popolazioni ed i loro legittimi rappresentanti, e sia sotto l’egida delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.
Ribadiamo quindi la necessità di un impegno collettivo, internazionale che preveda:
Una conferenza internazionale di pace per il Medio Oriente sotto egida delle Nazioni Unite per ristabilire il primato del diritto internazionale che ponga fine alla violenza, al colonialismo, alle guerre e ponga le basi per pace, diritti, libertà, sicurezza comune rispetto per tutte le comunità e religioni.
Una pace giusta e duratura tra palestinesi ed israeliani, costruita a partire dal ritiro immediato di Israele dalla Cisgiordania, il riconoscimento dello Stato palestinese con i confini precedenti al 6 giugno, con Gerusalemme Est come capitale condivisa, continuità territoriale con la Striscia di Gaza ed affrontare la questione del riconoscimento del diritto al ritorno dei rifugiati secondo formule da negoziare tra le parti.
La sospensione degli accordi commerciali, il blocco della vendita e dell’acquisto di armi e di sistemi di sicurezza con Israele, sino a quando non sarà rispettato il diritto internazionale, il ritiro dell’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.
Protagonismo, dialogo, rispetto, riconoscimento delle due ragioni tra le popolazioni palestinese ed israeliana, per ricostruire quella fiducia e quella cooperazione indispensabile per la convivenza.
La ricostruzione ed il futuro di Gaza non può prescindere da questa architettura politica.
Questo è quello che chiediamo alle istituzioni, questo è ciò che continueremo a fare come società civile, mobilitando le piazze, continuando a sostenere le missioni umanitarie nonviolente, insieme a quella eccezionale ondata di impegno e di solidarietà dimostrata da giovani, studenti, cittadine e cittadini, lavoratori e lavoratrici in ogni città italiana, europea e del mondo.