Accanto ai drammi di Gaza e del Sudan, sarà anche il destino di Haiti al centro dell’attenzione dei Paesi membri delle Nazioni Unite durante la prossima Assemblea Generale. E a guidare uno sforzo che potrebbe essere meno controverso di altri saranno i paesi geograficamente più vicini al disperato Paese, a cominciare dagli Stati Uniti.
A risvegliare l’attenzione su una tragedia troppo spesso dimenticata è servito, la settimana scorsa, l’accorato appello lanciato da Tom Fletcher (nella foto di copertina), vice segretario generale dell’Onu a capo dell’organizzazione per gli affari umanitari, l’OCHA, dopo una visita di tre giorni nell’isola dei Caraibi. Parlando direttamente da Port -Au -Prince, la capitale occupata per il 90 per cento dalle forze delle gang ribelli, Fletcher ha descritto i suoi incontri con una popolazione costretta a vivere in rifugi improvvisati, vittima di continue violenze, sparatorie, rapimenti e saccheggi. ”Ho ascoltato persone le cui vite sono state distrutte da una violenza brutale”, ha spiegato il diplomatico,”Mi rifiuto di credere che non possiamo fare meglio per loro”. ”Quello che mi ha colpito nei tre giorni che ho passato a Haiti’, ha aggiunto,”e’ stato il livello di insicurezza e di paura, si chiedono se il mondo li ha abbandonati”.
L’appello per un aumento significativo degli aiuti umanitari, compresi quelli alimentari, ha però anche aggiunto il diplomatico in una intervista al Miami Herald, non potrà essere effettivo senza una strategia più vasta e piu’ politica, che riporti alla normalità un Paese in cui gli omicidi, la violenza contro le donne e l’arruolamento forzato dei minorenni nelle gang sono diventati una tragica consuetudine.
Le parole accorate di Fletcher, ovviamente, non sono cadute nel vuoto. Da quando, a giugno del 2021, è stato assassinato il Presidente Jovenel Moise, ogni tentativo di risolvere la crisi è apparso vano e il controllo da parte delle bande si e’ ampliato e rafforzato non soltanto a Port-Au-Prince ma anche all’interno del paese. Organizzata lo scorso anno dall’Onu, anche la forza multinazionale MSS (Missione multinazionale di supporto alla sicurezza ad Haiti) guidata dal Kenya e a cui hanno partecipato diversi Paesi si è dimostrata drammaticamente impotente a causa delle sue limitate risorse e dei limiti legali imposti dallo stesso mandato. Solo il 18 per cento dei molti milioni di dollari considerati necessari per sostenerla e’ stata raccolta, al punto che i militari impegnati non solo sono stati ridotti dai 2500 previsti a poco meno di mille, ma anche hanno spesso dovuto rinunciare al proprio stipendio.
Già dallo scorso febbraio, il Segretario generale dell’Onu aveva lanciato un allarmato appello per un aumento delle risorse , un rafforzamento della forza di pace e la creazione di un ufficio di supporto dell’Onu, ma senza un risultato significativo. E altrettanto inefficace era stato l’arruolamento da parte del governo provvisorio di Haiti di una discutibile organizzazione militare privata creata da Erik Prince, il fondatore di Blackwater.
Ora però, in vista della scadenza all’inizio di ottobre del mandato della forza di pace guidata dal Kenya, e in concomitanza con il drammatico appello di Tom Fletcher, qualcosa comincia in effetti a muoversi per iniziativa dei Paesi confinanti e degli Stati Uniti, dove Donald Trump appare sempre più intimorito da una crisi potenzialmente incontrollabile a poca distanza dalle frontiere americane.
A muoversi, così, sono stati per primi gli Stati Uniti, che in collaborazione con Panama hanno preparato una proposta da sottoporre nelle prossime settimane al Consiglio di Sicurezza per sostituire l’attuale Missione di Supporto Multinazionale guidata dal Kenya con una Forza di Soppressione delle Gang molto più aggressiva, con una forza di 5500 uomini e soprattutto autorizzata, a differenza delle forze precedenti, ad effettuare operazioni di polizia e arresti.
Nel giro di pochi giorni, il primo segnale di appoggio all’iniziativa e’ arrivato dalla Organizzazione degli Stati Americani, che ha diffuso un documento di approvazione firmato da 32 paesi e ha promesso un contributo economico di oltre due miliardi e mezzo di dollari. E immediatamente dopo, anche l’ufficio del primo ministro di Haiti Alix Dider Fils-Aime’ ha approvato la mossa come ”un passo decisivo” per proteggere una comunita’ devastata dalla violenza.
Al di là delle parole, tuttavia, gli ostacoli a una vera soluzione del dramma di Haiti restano nei dettagli. In un clima di conflitto, sia la Cina che la Russia potrebbero porre molti ostacoli, compreso un veto, alla proposta di risoluzione degli Stati Uniti e di Panama. E i tagli agli aiuti umanitari voluti da Donald Trump potrebbero rendere vani perfino quegli sforzi che Washington sostiene a gran voce di volere.