Efficacia della politica nonviolenta
La politica nonviolenta mondiale oggi
Sul sito www.serenoregis.org un estratto di Antonino Drago, Premio Nazionale "Cultura della Pace-Città di Sansepolcro"
Quale prospettiva futura?
Sessanta anni fa il cammino storico dell’umanità ha incontrato la minaccia del suicidio nucleare; ma non ha saputo porre mano a questo male ultimo; e anche oggi vengono evitate le decisioni coraggiose su altri problemi simili, che nel frattempo sono sopraggiunti (ad es. ecologia). Oggi subiamo la jattura della sordità e cecità del potere mondiale. Ma oggi c’è anche la jattura della attuale incoscienza dei popoli verso i pericoli della loro sopravvivenza. Chiaro segno di questa seconda jattura è che tuttora non è sorto un leader politico (ad es. ONU) o spirituale (ad es. papa Francesco) o un movimento mondiale che, superando il ritardo collettivo della coscienza comune proponga alla politica internazionale una precisa strategia per eliminare i pericoli per l’umanità.
Se cerchiamo di immaginare quando e come l’umanità riprenderà coscienza, dobbiamo prospettarci un cammino comune del tutto nuovo e lungo. Per prima cosa l’umanità dovrà maturare una minima saggezza collettiva, prima di tutto su S&T, per poi concordare una minima etica comune mondiale, con la quale infine iniziare una decisa azione politica comune. Tutto ciò richiede molto tempo, sia a livello di convinzioni della popolazioni che a livello di accordi tra gli Stati in sede ONU.
Per cui oggi vediamo che per non aver saputo finora por mano al male ultimo (il suicidio dell’umanità sin dalla sua prima forma, quella nucleare) impostando una minimamente adeguata etica comune mondiale, l’umanità dei nostri tempi si è condannata da sola a soffrire in futuro molti mali penultimi, che educheranno l’umanità in maniera forzosa ad una politica comune che sia adeguata alla gravità della situazione; ci vorranno più generazioni che soffrano sulla loro pelle una serie di disrupt sociali causati dai mali penultimi per educarsi faticosamente ad una politica comune.
E l’Occidente, che è il principale responsabile di questa situazione, non sarà certamente il primo a intraprendere la nuova strategia a livello mondiale; ma saranno altri popoli che la insegneranno.
I vantaggi della ideologia nonviolenta
Ma vediamo se la ideologia politica che oggi è più interessante, quella non violenta, può indicare un futuro diverso. Oggi questa ideologia ha un grande vantaggio su quelle di tutti gli altri movimenti politici nel mondo: prende il problema odierno dalla testa, senza perdersi in problemi parziali e soluzioni solo approssimanti quella necessaria: in opposizione alla incoscienza generata da S&T, che porta tutti a vivere una sopravvivenza da consumatori incoscienti e asserviti. Essa ha costruito una precisa coscienza storica.
LdV ha insegnato che l’ “eroe occidentale” avrebbe perseguito un fatalismo attivo di autodistruzione; e nel 2002 il non violento Johan Galtung ha specificato che l’impero USA sarebbe crollato dopo pochi anni [1]; Oggi vediamo che il fatalismo dell’eroe occidentale si è manifestato a tutti: la idea-guida della sua politica del dopo ’89 (la globalizzazione) ha fatto nascere potenze economiche comparabili con la sua, le quali le sono diventate agguerrite rivali (Europa, Cina, Russia) [2]. Inoltre, attualmente è chiaro a tutti che questo eroe ha voluto lanciare guerre che oggi appaiono controproducenti (il 18 ottobre 2023 anche Biden ha ammesso che dopo l’11 settembre 2001 gli USA hanno sbagliato: “Accecati dalla rabbia per l’attentato dell’11 settembre abbiamo commesso degli errori…”), Quelle guerre hanno lasciato un enorme carico di morti e hanno distrutto la vita sociale di molti popoli; i quali ora chiaramente vedono negli USA il pericolo principale.
In più gli USA, con la loro politica per l’allargamento a tutti i costi del patto militare NATO a tutti i Paesi europei, hanno creato una aggregazione (militare e di potere mondiale) dei “Paesi democratici” contro le “autocrazie” di tutto il mondo; ma ciò nel mondo ha favorito una opposizione politica ed economica di molti Stati (i particolare quelli del BRICS) che sono stanchi della egemonia USA sul mondo. Il loro scopo politico è nuovo ed è in linea con la non violenza: non è la soppressione dell’avversario con una ulteriore guerra mondiale, ma la condivisione plurale delle decisioni politiche internazionali, cioè un pluralismo che rappresenti le tante progettualità possibile dei diversi popoli.
Oltre il vantaggio di avere una precisa coscienza storica, la politica non violenta indica anche l’obiettivo politico decisivo di questo tempo: per sua natura (universale) e per l’esempio storico di Gandhi, è chiaro che il suo obiettivo è una ricongiunzione di Oriente ed Occidente; essa quindi lavora per il passaggio dalla attuale civiltà, solo occidentale, ad una civiltà mondiale; per la quale essa si pone come base politica fondamentale per proporre la convivenza pacifica di più strategie e più politiche, e cioè dare luogo ad un essenziale pluralismo che sappia risolvere i conflitti internazionali senza guerre (giusto ciò che cominciato l’ONU ottant’anni fa).
Inoltre la politica non violenta sa criticare in maniera decisiva S&T, perché esse introducono nella vita sociale un potere politico che non è democratico; invece la politica non violenta vuole la autonomia e la autogestione. Inoltre la politica non violenta vuole risolvere i conflitti in maniera diametralmente opposta a quella di S&T: essa, invece che sul “Calculemus!” di S&T, si basa sulla creatività delle risorse umane che utilizzino solo mezzi umani; perciò il potere sociale di S&T deve essere subordinato alla etica, in modo da dare spazio alla risoluzione non violenta dei conflitti umani e internazionali.
L’ostacolo incontrato dalla politica non violenta dopo il 1989: come rifondare lo Stato?
Dal secondo dopoguerra anche in Occidente ha incominciato ad operare una politica non violenta. Per prima cosa i non violenti hanno dovuto lottare per conquistare la piena cittadinanza pur rifiutando le armi (lotta dell’obiezione di coscienza al servizio militare). In quasi tutti i Paesi occidentali essi sono stati vittoriosi ed hanno pure suggerito progetti credibili per una alternativa nel settore statale della difesa nazionale. Ma questi progetti si sono fermati perché hanno trovato lo stesso ostacolo incontrato dopo il 1989 dalle lotte vittoriose dei popoli dell’Est Europa e che tuttora sono i maggiori oppositori di ogni politica che tenda a risolvere i problemi (nucleare, ecologico, biotecnologico, intelligenza artificiale) che minacciano la sopravvivenza dell’umanità: gli Stati liberali, che sono resi quasi inamovibili da una secolare tradizione giuridica e politica.
Perciò dal 1989 i non violenti debbono risolvere un problema politico cruciale: la costituzione di uno Stato non violento così come lo ha prospettato Gandhi: una federazione di città-villaggi-comunità di base (molto vicina allo Stato federativo svizzero).
Questa è una quarta forma di Stato; essa viene dopo lo Stato liberale, iniziato dalle rivoluzioni inglese, americana e francese; dopo quello socialista, malamente impostato da Lenin nel 1919 come dittatura su un popolo poco cosciente e ora sopravvissuto in forme ibride (Cina, Cuba); e dopo quello arabo che vuole congiungere la democrazia con la tradizione araba; congiunzione che da oltre quarant’anni il popolo iraniano cerca al di là della attuale teocrazia e che nel 2011 le rivoluzioni delle primavere arabe hanno rivendicato.
Al momento, lo Stato liberale che si pone come l’unico possibile. Ma esso ha una lunga crisi (vedi la sua inspiegata degenerazione addirittura in dittature in Europa). La crisi si è aggravata dopo il 1989 perché ha lasciato che il capitalismo costituisse liberamente i suoi “paradisi fiscali” e che generasse una finanza come una colossale macchina virtuale che macina danari a livello di organizzazione unitaria di tutte le Borse del mondo; le quali comunicano tra loro alla velocità quasi della luce e compiono miliardi di operazioni in pochi secondi, con un fatturato sui cento mila miliardi di dollari, cioè quanto il prodotto mondiale lordo. Tutto ciò al di fuori di ogni legge e ogni tassazione statale, perché questo tipo di finanza appare l’apice del progresso scientifico dell’economia e quindi il “progresso” non deve assolutamente essere fermato.
Anche se esso causa da un giorno all’altro il crollo economico di interi Paesi (vedi la crisi dei Paesi detti “Tigri del Sud Est asiatico” nel 1997-98); e anche se le Banche che speculano in questa finanza compiono degli errori e fallimenti colossali, allora, come nel 2008 lo Stato più liberista come gli USA, interviene d’autorità nell’economia nazionale per ripianare i loro debiti con i soldi delle tasse estratte dalle tasche dei cittadini, per un totale di un migliaio di miliardi di dollari. Oggi lo Stato occidentale (liberale) è (moltissimo) debole con i forti (finanza) e forte solo con i deboli (i cittadini rimasti senza strumenti democratici) [3].
Ecco che così si è creato un ulteriore feticismo. quello che lo Stato, costituito come complesso razionale di leggi, rivolge ad un macchinismo virtuale mondiale, la turbo-finanza, che è al di fuori e al di sopra di ogni legge statale e che ha il potere, con i suoi sconvolgimenti, di distruggere la sua economia. Anzi questo è un super feticismo; perché ora l’adoratore non è più una singola persona, ma è la volontà collettiva di tutte le persone, espressa dallo Stato. Non è allora un caso che la democrazia non funzioni più, dato che non decide più i primi problemi della collettività; e non è un caso che tutti i governi occidentali siano traballanti, divisi da lotte laceranti tra direzioni politiche particolaristiche; e che i partiti non gestiscano più un sostanzioso dibattito democratico e che quindi gran parte della popolazione si sia allontanata dalla politica.
Lo Stato socialista ha una sua importante presenza nel mondo per la grande quantità della popolazione che gestisce: Cina, Cuba, Myanmar, Corea del Nord; ma da dopo il 1989 non ha alcuna idea comune su che cosa debba essere una organizzazione statale socialista.
E lo Stato arabo ha compiuto un oscuro inizio nel 1979 in Iran come poco meno che una teocrazia, poi in parte nella Libia di Gheddafi, e poi sempre in piccola parte in Tunisia ed Egitto; ma in generale non si ha nessuna idea precisa di come coniugare la shariia con le leggi di una democrazia parlamentare, a incominciare dai diritti delle donne.
Lo Stato non violento è da costituire. La sua distanza dallo Stato liberale è quasi abissale; e per di più le comunità non violente attuali sono poche e non collegate tra loro: la lezione fondamentale di Gandhi e di LdV ancora fa fatica a realizzarsi in grandi gruppi di comunità. Certamente ci vorranno vari decenni perché ci sia un inizio concreto di aggregazioni quasi – statali non violente.
In totale, la politica non violenta oggi non risulta avere la capacità di impostare una strategia mondiale e darle il supporto sociale necessario per realizzarla.
Contributi di attori politici non dichiaratamente non violenti
Comunque in questo tempo ci sono alcune azioni politiche non violente condotte da attori politici non dichiaratamente non violenti. Le principali sono le seguenti.
1) Al di fuori del mondo occidentale tanti Stati sono in una ricerca attiva di novità statuali che modificano profondamente la tradizione occidentale: ad es. la Costituzione di Ecuador e Bolivia è basata sui diritti della Madre Terra; e questa base è stata proposta anche all’ONU. (Non è invece una innovazione lo Stato d’Israele, che piuttosto è di tipo nazionalista e colonialista (alla cui politica si è unita la forte componente religiosa tradizionale che rivendica assolutamente la “Terra promessa da Dio”), tale quindi da rinnovare la piaga storica degli Stati nazionalisti europei dell’Ottocento).
2) Il movimento mondiale ecologico di Greta Tunberg; esso dimostra che oggi si può agire dal basso e non violentemente per affrontare i problemi della sopravvivenza dell’umanità.
3) Nel gennaio 2021 l’ONU ha finalmente compiuto una azione politica mondiale di importanza decisiva: il Bando ONU delle armi nucleari. Questo ha iniziato lo scontro con la politica militare delle superpotenze nucleari. Il che inizia una vera politica per fermare il pericolo del suicidio nucleare dell’umanità. Inoltre questo Bando la prima volta propone di bloccare il progresso tecnologico attuale, tagliandone la punta di diamante nel settore più avanzato, quello nucleare. Ciò inizia una politica di ripensamento su S&T.
4) Il capo del “non-Stato” del Vaticano e capo della religione cattolica (con un miliardo di fedeli), papa Francesco, sta desacralizzando e dissacrando la guerra: mina ogni motivazione ad essa con le sue frasi “La guerra è una pazzia” e “Ogni guerra è una sconfitta”; e propone lo slogan “Nessuna guerra in nome della religione”. Dopo che l’ONU aveva iniziato una timida prassi verso l’abolizione delle guerre nel mondo, questo insegnamento del papa è l’inizio spirituale ed etico per formulare una politica precisa per realizzare l’obiettivo.
5) Il Sud Africa, uscito con grande gioia mondiale dall’apartheid dei bianchi sui neri mediante un processo di pace (guidato da Mandela), oggi ha giustamente accusato Israele davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (principale organo giuridico dell’ONU) di possibile genocidio verso una popolazione che a Gaza vive in una prigione a cielo aperto. E questa azione giuridica non violenta ha avuto una sua efficacia: la Corte ha posto all’azione di Israele dei vincoli che indicano di fatto la necessità di finire questa guerra.
Conclusione: Può la poetica non violenta far nascere una alternativa?
Ma giustamente si può obiettare che tutto ciò è ancora minoritario. Per cui a molti la proposta politica non violenta, vittoriosa nel 1989, oggi appare ancora una volta utopica rispetto ai grandi problemi mondiali.
Sapranno i nonviolenti superare la politica del salvarsi l’anima con una buona vita solo piccolo comunitaria per realizzare ancora una volta (dopo il 1989) una rivoluzione popolare (un abrupt mondiale, ma causato dall’interno delle popolazioni) che faccia il salto di qualità nella politica mondiale?
In effetti, questo salto politico, benché molto alto, non è impossibile, perché esso è molto minore di quello che prima del 1989 esisteva tra il piccolo movimento non violento in Europa Ovest e l’obiettivo politico (fine dei Blocchi).
In definitiva, cercasi una rivoluzione mondiale non violenta, della quale le manifestazioni avvenute nel 2003 in tutte le città del mondo contro l’inizio della guerra all’Iraq sono state un anticipo, perché hanno indicato la possibilità di una “seconda superpotenza” contro l’unipolarità del comando mondiale della superpotenza USA.
(Questo scritto è la parte finale dell’articolo RIFLESSIONI SUL LIBRO DI LANZA DEL VASTO PER EVITARE LA FINE DEL MONDO (1973), di prossima pubblicazione negli atti a cura del Prof. Arnaldo Nesti della XXX Summer School on Religions di San Gimignano, agosto 2024)
Note
[1] J. Galtung: The fall f US Empire. And then?, Transcend University Press, 2002.
[2] A. Drago: Coronavirus: dove porta la sua Arca papa Francesco-Noé?, Atti della Summer School di San Gimignano, 2022.
[3] Le guerre Ucraina-Russia e Israele-Hamas rappresentano il ritrarsi di Stati liberali decaduti in una politica militarista. La crisi NATO-Russia (con conseguente guerra in Ucraina) era l’occasione per i Paesi europei di compiere un salto di qualità nella politica per la pace mettendo in atto una mediazione intelligente; invece essi sono caduti in un militarismo dei vecchi tempi. In questo scenario non è del tutto strano che la guerra Hamas-Israele ci abbia riportati alle peggiori barbarie della storia umana, senza che l’Europa se ne distaccasse con decisione.