Diritti minori

Data pubblicazione: Feb 11, 2021 4:25:0 PM

I diritti violati lungo la rotta balcanica

Prosegue l'indagine di Maddalena d'Aquilio sui diritti dei migranti violati lungo la Rotta balcanica. Dopo aver inquadrato il tema nel pezzo "I diritti volati luna la rotta balcanica" oggi ci parla della situazione in Bosnia-Erzegovina.

Sul sito www.unimondo.org un articolo di Maddalena d'Aquilio sulla situazione dei profughi in Bosnia

A Bihać le temperature della settimana dovrebbero oscillare fra minime di -5 e massime di 10 gradi. Siamo in Bosnia nord-occidentale, cantone di Una-Sana, al confine con la Croazia e con l’Unione Europea. Certo, non è una questione di previsioni meteorologiche. Qui non si tratta solo di sapere che tempo farà domani. Il freddo, la neve, le temperature fanno una grande differenza se si è costretti a vivere come bestie. Senza acqua, elettricità, fognature. Questo è l’ennesimo luogo della vergogna, dove le persone smettono di essere persone e diventano “solo” migranti.

È stato necessario arrivare a questo livello di violazioni per attirare l’attenzione dei media internazionali e dell’opinione pubblica. Eppure, con una semplice ricerca su Google si possono trovare denunce che risalgono al 2017, dopo che la rotta balcanica venne ufficialmente chiusa dall’Unione Europea. Chiusa, semplicemente. Come se fosse una strada. Come se fare accordi con la Turchia e delegare agli altri la gestione dei flussi migratori bastasse a fermare le persone. Ne hanno viste di peggio i migranti. Ma si sa, al peggio non c’è mai fine.

Per saperne di più abbiamo chiesto notizie a Silvia Maraone, project manager di IPSIA (Istituto Pace, Sviluppo e Innovazione delle Acli) in Bosnia.

Qual è la situazione in questo momento?

«Ci sono cinque campi gestiti dall’OIM. La capacità di accoglienza è di 3500 persone, ma c’è un grave problema di sovraffollamento perché, di fatto, le persone nei campi sono più di 5000. Inoltre da settembre a dicembre sono stati chiusi due campi per single men, lasciando 2500 migranti senza un posto dove stare. Stiamo parlando soprattutto di giovani uomini e ragazzi che vengono per lo più dal Pakistan e dall’Afghanistan.»

Come riportato dall’OIM (Organizzazione mondiale per le Migrazioni), prima della chiusura dei campi di Bira e di Lipa, la capacità di accoglienza era di circa 8200 persone. Il primo sgombero è avvenuto a fine settembre, quando il governo cantonale ha arbitrariamente deciso di chiudere il campo di Bira, nei pressi di Bihać . I migranti sono stati spostati da quello che era un centro di accoglienza temporanea (in una fabbrica abbandonata) ad un campo di emergenza – quello di Lipa – fatto di tende e già sovraffollato. Lo stesso campo di Lipa è stato poi chiuso a dicembre dall’OIM a causa della mancanza di condizioni igienico-sanitarie minime, soprattutto in vista dell’inverno. Infatti, il governo cantonale non aveva provveduto a fornire gli allacciamenti elettrici, idrici e fognari. Poi l’incendio del campo, il freddo e la neve.

«L’ex-campo di Lipa che ospita ancora più di 900 persone, ora è stato preso in gestione dal governo centrale. L’esercito bosniaco ha provveduto ad installare delle tende militari che potessero ospitare i migranti e il Ministero della sicurezza, supportato dalla Croce Rossa locale, si occupano della logistica del campo.

Però si stima che altre 2500 persone vivano nei cosiddetti squat, luoghi di auto-sopravvivenza come case abbandonate o tendopoli nelle foreste. In questo momento, a causa del freddo i migranti non arrivano dagli altri stati balcanici e quindi i numeri sono abbastanza stabili. Ma l’OIM non sta più facendo registrazioni e quindi i migranti non hanno accesso ai campi. Di conseguenza, le persone che stanno dormendo in edifici abbandonati sono aumentate. Parliamo anche di famiglie con bambini e minori non accompagnati.»

Anche Save the Children ha lanciato un appello: sono più di 50 i minori che stanno dormendo negli squat in condizioni di vita inaccettabili ed esposti ad abusi e violenze.

A chi è affidata e come avviene la gestione dei migranti in Bosnia?

«Fin dal 2018, il governo bosniaco-erzegovese ha chiarito che non si sarebbe fatto carico della situazione. Per tanto, la responsabilità dei campi – che dovrebbe essere di quello che noi chiameremmo Ufficio stranieri e del Ministero della sicurezza – è stata demandata all’OIM.

L’OIM è ora responsabile della logistica e del management dei cinque campi (finanziati dall’Unione Europea), fornendo soluzioni più o meno provvisorie. Tra l’altro, i finanziamenti europei sono parte dei fondi di pre-adesione che spetterebbero alla Bosnia, ma in questo modo vengono dati ad un’agenzia internazionale che li gestisce in modo senz’altro più trasparente e controllato.»

Parlando dei pushback (i respingimenti illegali da parte della polizia alla frontiera, compresa quella italiana), Silvia ci racconta che già da maggio dell’anno scorso ha avuto modo di parlare con migranti che erano arrivati in Italia, ma che erano poi stati riconsegnati a catena alla polizia slovena, a quella croata per essere di nuovo deportati in Bosnia. l sentimento dei migranti sono stupore e rabbia, perché non riescono a capacitarsi dei motivi per i quali vengono riportati indietro.

Al momento non si stanno rilevando respingimenti così violenti come quelli dei mesi scorsi, ma forse la questione è legata al fatto che, a causa dell’inverno, ci sono meno persone che stanno provando il game, cioè l’attraversamento della frontiera tra Bosnia e Croazia.

Come sta reagendo la popolazione bosniaca alla situazione?

«Chiaramente questa situazione si innesta in un quadro che, di per sé, è difficile e conflittuale. In generale, l’avversione per i migranti è cresciuta e degenerata, anche se fuori dal cantone Una-Sana c’è ancora spazio per la solidarietà. È vero che ci sono stati alcuni fenomeni di micro-criminalità, ma questi sono stati usati per amplificare il risentimento della comunità. A peggiorare la situazione, oltre alla propaganda anti-migrante dei politici locali, sono le dichiarazioni di politici come Milorad Dodik, il quale ha già annunciato che non intende accogliere migranti nel territorio della Repubblica Srpska. Inoltre si è diffuso un sentimento anti-europeista: la popolazione imputa la colpa all’Europa che non fa nulla per prendersi i migranti o per rispedirli nei loro paesi d’origine.

A Tuzla e Sarajevo si sta assistendo ad un incremento della violenza verbale nei confronti delle volontarie e dei volontari tramite scritte sui muri, insulti e minacce di morte. Nel cantone Una-Sana la solidarietà fuori dai campi è stata vietata e quelli che continuano ad aiutare i migranti vengono accusati delle peggiori nefandezze. In particolare, ci sono tre volontarie locali che ricevono insulti di tutti i tipi (ed essendo donne gli insulti sono quasi sempre a sfondo sessuale), ma che nonostante tutto continuano a resistere.»

Silvia Maraone ci spiega che IPSIA, la ong delle Acli ha allestito un Social Cafè nel campo per famiglie di Sedra in collaborazione con la Caritas Bosnia e che è impegnata in interventi di supporto psico-sociale ed emergenziale in collaborazione con la Croce Rossa. Grazie allo sforzo e alle denunce delle persone come Silvia forse qualcosa sta cominciando a muoversi: una delegazione di eurodeputati italiani del PD – Pietro Bartolo, Brando Benifei, Pierfrancesco Majorino e Alessandra Moretti – ha percorso a ritroso la rotta, non senza difficoltà viste le resistenze della polizia croata, raggiungendo Bihać e il campo di Lipa.